Fino alla fine degli anni '20, l'attenzione degli scienziati che lavoravano sui raggi cosmici non era focalizzata a comprenderne la natura. Infatti, l'unica radiazione molto penetrante conosciuta allora erano i raggi gamma, analoghi a quelli emessi da sorgenti radioattive. 

Poichè  questa radiazione che arrivava dall'alto riusciva ad attraversare chilometri di atmosfera, si pensava che non potesse essere composta da altro che da  raggi gamma, ma di energia ancora più elevata di quella emessa da sorgenti radioattive, che chiamavano radiazione ultra-gamma.

Un esperimento cruciale, eseguito tra il 1928 e il 1929 dai fisici tedeschi Walter Bothe e Werner Kolhörster, suggeriva invece che i raggi cosmici a livello del mare dovessero avere natura corpuscolare mettendo in serio dubbio la teoria sostenuta in particolare dal fisico americano Robert Millikan che li considerava radiazione "ultra-gamma” prodotta dalla fusione di elementi leggeri nelle profondità dello spazio interstellare.

 

Le ricerche di Bothe e Kolhörster si basavano sull'uso di un nuovo strumento, il contatore Geiger- Müller, uno strumento che per la prima volta permetteva di rilevare il passaggio di particelle singole, ossia permetteva di "contare le particelle ionizzanti” che lo attraversavano.

Bothe e Kolhörster si accorsero che utilizzando i contatori l'uno sopra l'altro a breve distanza spesso i due contatori segnalavano simultaneamente il passaggio di una carica.

Queste scariche simultanee o coincidenze, come vennero chiamate da allora, non erano casuali perché diminuivano quando i due contatori si allontanavano. I due scienziati dunque conclusero che la coincidenza dei segnali doveva essere prodotta da una singola particella che attraversava l'uno dopo l'altro i due contatori.

Le particelle che producevano questo segnale non potevano essere radiazione alfa o beta perché le pareti dei contenitori ( zinco dello spessore di un millimetro) le avrebbero fermate.

I due scienziati ipotizzarono allora che a generare la coincidenza fossero elettroni prodotti per effetto Compton dall'interazione dei fotoni primari con le pareti dei contatori Geiger.

Osserviamo la figura qui a fianco: nel primo caso un fotone produce un elettrone Compton nel contatore superiore e poi un altro elettrone Compton nel contatore inferiore. Tuttavia la probabilità tipica di ciascuna collisione Compton è dell'ordine del 5% . Ciò significa che il numero di impulsi che registrano elettroni Compton in ciascun contenitore è circa un ventesimo del numero di fotoni che attraversano il contenitore. Il numero di coincidenze sarà dunque dello 0,25%  (1/20 x 1/20 = 1/400): una probabilità troppo bassa per spiegare la quantità di coincidenze che i due fisici rilevavano.




Schema dell'esperimento di Bothe e Kolhörster

Per indagare comunque più a fondo questa possibilità Bothe e Kolhörster collocarono due contatori Geiger-Müller uno sopra l'altro, interponendo tra loro spessori crescenti di lastre di piombo e registrarono il numero di conteggi simultanei segnalati dai due strumenti. 

Data la bassa capacità di penetrazione degli elettroni Compton, questi avrebbero dovuto essere completamenti catturati da un materiale assorbente, anche molto sottile, posto tra i due strumenti di rivelazione. 


Al contrario, i due fisici osservarono con enorme stupore che i presunti elettroni secondari erano in grado di attraversare una lastra spessa 4 cm di un metallo assai denso come l'oro generando un segnale in coincidenza nei due contatori Geiger-Müller. Gli sperimentatori trovarono che il numero di coincidenze era ancora del 76% rispetto a quello che si aveva senza il blocco d'oro, ossia che il 76% della radiazione cosmica presente a livello del mare era in grado di attraversare 4,1 cm d'oro!

I due fisici conclusero che segnale di questo tipo  poteva essere attribuito esclusivamente al passaggio di un singolo corpuscolo, anche se nessuna radiazione conosciuta a quel momento aveva una capacità di penetrazione nella materia di questo tipo.

Nell'autunno del 1929, Bothe e Kolhörster pubblicarono un articolo in cui presentavano le loro ricerche e i sorprendenti risultati che ne erano derivati. Per il giovanissimo Bruno Rossi, arrivato di recente all'Istituto di Fisica di Arcetri come assistente del direttore Antonio Garbasso, l'articolo fu "come un fascio di luce che rivela l'esistenza di un mondo insospettato, pieno di misteri e ancora inesplorato”. Bruno Rossi era nato nel 1905 a Venezia dove aveva trascorso la sua infanzia sperimentando precocemente un senso di meraviglia verso il mondo che lo circondava. Nella prefazione alla sua autobiografia, Momenti nella vita di uno scienziato, Rossi accennò ai suoi sentimenti personali riguardo la scelta della Fisica: "Questo fascino per i segreti della Natura è la ragione per cui sono stato un fisico sperimentale. È la ragione per cui, per me, i momenti più eccitanti sono stati quelli in cui un esperimento ha fornito un risultato contrario a tutte le previsioni, dimostrando così che le ricchezze della Natura superano di gran lunga l'immaginazione umana”.

La tecnica della coincidenza diventò uno degli strumenti fondamentali della ricerca fisica moderna dopo che Bruno Rossi inventò a Firenze nel 1930 un circuito elettronico che permetteva di registrare e discriminare le coincidenze in modo automatico e rapido. 

Dei contributi di Bruni Rossi parleremo in modo più approfondito nel prossimo paragrafo.


Fonti:

L'enigma dei raggi cosmici di Bruno Rossi

La Fisica nella Scuola, XLIV, 4 Supplemento, 2011 di Luisa Bonolis (http://www.luisabonolis.it/Bruno_Rossi_files/RossiAIF2012.pdf)

 










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Ultime modifiche: sabato, 7 novembre 2015, 16:32