LA STRAGE DEI PROCI
IL RACCONTO DELLA STRAGE DEI PROCI
… LO SGUARDO È DI EURICLEA
Chiamata dal giovane Telemaco, obbediente al volere del padre, ero entrata nella sala del banchetto ignara dell’impresa che il mio signore aveva compiuto: aperta la porta, uno spettacolo orribile si era aperto davanti ai miei occhi. Lo stesso Odisseo era in mezzo a quei morti distesi, con le braccia e le gambe imbrattate di sangue, simile a un leone che ha appena ucciso e divorato un bue selvatico: il petto mi si colmò di gioia, ma non potevo urlare perché ancora la vendetta non era compiuta. All’appello mancavano le ancelle infedeli, che avevano tradito e fatto l’amore con i Proci: per questo bisognava che anche loro pagassero con la vita, ma non prima di aver ripulito tutto.
Sul pavimento erano sparse frecce, lance, elmi di bronzo e scudi: a nulla erano servite le armi, a nulla le parole di chi voleva salva la vita. Poco distante da me vedevo a terra il corpo di Anfinomo: colpito da una lancia, che Telemaco aveva lasciato conficcata nel suo corpo per evitare di venire colpito mentre stava chino estraendola, era caduto con un tonfo battendo la fronte al suolo. Rivedeva nella sua mente la scena, così come Telemaco l’aveva raccontata: era stato proprio lui a impedire ad Anfinomo, che si era scagliato su Odisseo con la spada sguainata, di uscire dalla porta e fuggire. A quella vista, infatti, il giovane figlio del re di Itaca lo aveva colpito da dietro in mezzo alle spalle con la lancia di bronzo, che era fuoriuscita dal petto e ancora si trovava nella stessa posizione.
Accanto al cadavere di Anfinomo vedevo ora uno sgabello rovesciato, presso il quale il cibo caduto dal tavolo e una coppa a due anse giacevano sparsi: nel mezzo, il corpo senza vita di chi era balzato addosso a Odisseo con l'aguzza lama di bronzo affilata da un lato e dall'altro. Non aveva fatto in tempo, però, il baldo Eurimaco a colpire il bersaglio, perché il divino Odisseo scoccando una freccia lo aveva colpito. in pieno petto, conficcandosi nel fegato e portandolo alla morte. A gran voce, ma inutilmente, Eurimaco aveva invitato i suoi amici a farsi scudo con i tavoli dalle frecce che piovevano da ogni parte portando con loro la morte. La spada giaceva ancora accanto a lui, per nulla sguainata e ormai priva di forza: prima di agire, aveva tentato di scendere a patti con il re di Itaca e di ottenerne il perdono in cambio di un abbondante risarcimento, ma nessuna ricompensa avrebbe potuto placare l'ira dell'astuto Odisseo che aveva sete di vendetta.Quanto cibo sprecato copriva il pavimento tra tazze rovesciate e macchie di vino: lo stesso Antinoo, quando era stato colpito alla gola da una freccia che nessuno si aspettava, aveva spinto lontano con un calcio la tavola, rovesciando a terra cibi e bevande, pane e arrosto, vino e acqua limpida. Nessuno aveva ancora capito cosa stava accadendo, ma tutti si erano scagliati contro lo straniero minacciandolo di morte certa alla vista della sorte toccata ad Antinoo: stava per alzare una bella coppa d'oro a due anse per avvicinarla alle labbra, quando mirando alla gola Odisseo lo colpì con un dardo e gli trapassò il morbido collo.
Da poco, il mendicante si era strappato di dosso gli stracci ed era balzato all'improvviso sulla soglia stringendo tra le mani l'arco e la faretra piena di frecce: dopo aver proclamato a gran voce che con l'aiuto di Apollo ora avrebbe mirato a un nuovo bersaglio, aveva puntato il dardo amaro verso il povero Antinoo. Nessuno sapeva spiegarsi quell'improvvisa trasformazione: tutti erano egualmente stupiti e si guardavano intorno, ma alle pareti spoglie non trovarono appese le armi che qualcuno aveva saggiamente provveduto a rimuovere. DI certo quel colpo era stato involontario, pensavano, non accorgendosi che sulle loro teste era stato annodato il laccio della morte.