L’ANCELLA DI NAUSICAA RACCONTA … 

TECNICA DELLE ASSOCIAZIONI MENTALI

Ανθεια, una delle fidate ancelle di Ναυσικάα, è rimasta sulla spiaggia dopo che il carro con la sua signora è partito per tornare a palazzo: troppe emozioni, in quel giorno indimenticabile, avevano turbato il suo animo di giovane ragazza. Nel silenzio della sera che si avvicina, seduta su un grosso sasso dove l’acqua cristallina appena riesce a bagnare la sabbia, mentre il cielo si tinge d’arancio e la luce del sole ormai al tramonto brilla sulla cresta delle piccole onde, ancora la giovane ancella indugia in quel luogo, lì dove tutto è accaduto. 

Come farfalle delicate dai mille colori, i ricordi volteggiano davanti ai suoi occhi … ed ecco riemergere dalla sabbia la coppa che lei stessa aveva riempito di vino e offerto allo straniero venuto dal mare: con avidità aveva bevuto, gustando i fichi maturi e l’uva che la sua compagna, la piccola Φωτινή, aveva servito con grande cura a quell’uomo, che a lei un po’ faceva paura. Eppure la sua padrona lo aveva accolto con gentilezza, donandogli anche una splendida tunica per coprirsi all’uscita dal fiume, dove si era lavato: all’uscita era apparso ancora più bello di prima e a lei era sembrato di vedere aggirarsi nell’aria leggera proprio θήνη, la dea nata dalla testa di Ζεύς. Ne era prova il velo che ora giaceva abbandonato su quel sasso vicino a lei e che nessuna di loro aveva mai visto prima: per questo era rimasto sulla spiaggia e Ανθεια ne ammirava la straordinaria fattura, di certo non opera di mani d’uomo. D’altra parte, la stessa Ναυσικάα credeva che l’incontro con quell’uomo fosse voluto dagli dei: se ne innamorò subito e ne fece dal primo istante l’uomo della sua vita, sognando di diventarne la sposa e di trascorrere con lui anni felici.

Per questo aveva risposto con parole amorevoli al discorso dell’ospite sconosciuto, rivelandogli non solo il suo nome, ma anche quello del luogo in cui si trovava: tra i rosei giacinti, che facevano capolino tra i cespugli, la bellissima figlia di Alcinoo parlò del dolore come componente essenziale del destino di ogni uomo. Come il giacinto dall’esile stelo che teneva tra le mani, la vita apparve a Ανθεια in tutta la sua fragile bellezza: per questo i Feaci amavano la pace e accoglievano con ospitalità chi nella loro isola approdava, come lo sconosciuto avvolto dal mistero a cui gli dei avevano concesso di vivere altri anni. 

Si era presentato davvero in condizioni disperate alle spensierate fanciulle che giocavano sulla riva del fiume dove erano andate a lavare i panni: i suoi stracci stava appunto raccogliendo la bella Ανθεια, ripensando incredula a quanto in breve tempo era accaduto. Con le sue compagne, anche lei era fuggita alla vista di un essere che a stento di faceva riconoscere come uomo: la sua signora no, non aveva avuto paura e, seppur con un grande turbamento nel cuore, era rimasta ad ascoltare. 

Da lontano Ανθεια vedeva il mare, dai colori più cupi ora che il sole si era quasi del tutto immerso nelle sue acque: la distesa azzurra le appariva infinita, proprio come le parole che dolcemente uscivano dalla bocca dello straniero. Sapeva davvero parlare bene quell’uomo e incantava con la sua voce soave chi lo ascoltava: Ναυσικάα ne era rimasta affascinata e non aveva saputo staccare gli occhi da lui nemmeno per un istante.

Eppure, in un primo momento anche lui era apparso esitante, quasi intimorito dalla bellezza della giovane vergine che vedeva davanti a lui e che aveva paragonato a uno stupendo germoglio di palma fiorito: lo aveva visto nell’isola di Delo e ne era stato colpito a tal punto da ricordarsene in quel momento così delicato. Con straordinaria cortesia aveva chiesto ospitalità, senza mai avvicinarsi a quella che riteneva fosse una dea o una ninfa dei boschi. Gli bastava poco: solo del cibo e un abito per coprirsi, un tetto per passare la notte.

Scorgendo nella sabbia le impronte lasciate dalle ginocchia del naufrago, Ανθεια rivedeva la scena: con il volto e le membra imbrattate di salsedine e fango, un ramo frondoso per coprirsi, era uscito dai cespugli presso alla selva che di estendeva lungo la sponda del fiume, poco distante dal luogo in cui le ragazze andavano a lavare le vesti per renderle candide e degne di essere indossate nei giorni di festa. Le avevano stese al sole, quella mattina, dopo averle ben ripulite; si erano poi sedute insieme a mangiare e, mentre attendevano che si asciugassero, proprio Ναυσικάα aveva afferrato la palla, dando inizio a quel gioco che tanto le faceva divertire. 

Tra le risa gioiose e i palleggi, era a un tratto risuonato alto nel cielo il grido di Σελήνη, che aveva fatto cadere la palla in acqua: correndo a riprenderla, lo aveva visto e ancora di più aveva gridato, facendo scappare tutte le sue compagne. 

Di certo era stato tutto questo frastuono a destare dal sonno l’uomo che dormiva tra le foglie, sotto gli alberi frondosi del bosco: non sapeva in quale terra era giunto, δυσσεύς πολύτροπος, ma sapeva che doveva correre il rischio di chiedere aiuto, se voleva sopravvivere. Da giorni non toccava cibo né acqua, la forza del mare aveva spezzato le sue forze e indebolito il suo corpo: da solo non avrebbe potuto salvarsi …

Ανθεια raccolse la palla, la accarezzò e ripensò ancora a quella straordinaria giornata: il sole, intanto, era quasi completamente scomparso e le ombre della notte si avvicinavano sempre più in fretta. Un brivido di freddo le percorse le membra: era giunta l’ora di incamminarsi per tornare a palazzo dalla sua signora, la bella e gentile Ναυσικάα.


Ultime modifiche: giovedì, 6 aprile 2023, 20:17